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10 | INNI OMERICI |
delle donne di Delo, termina l’elogio coi seguenti versi, nei quali tesse l’elogio di sé stesso:
E tutte voi, salvete, fanciulle. Di me ricordarvi
dovrete un giorno, quando talun dei terrestri mortali,
qualche tapino foresto, nell’isola giunga, e vi chieda:
«Quale cantore, fanciulle, da voi prediletto su tutti
giunge a quest’isola? E chi vi piace ascoltar più d’ogni altro?»
E voi risponderete cosí, tutte quante a una voce:
«Un cieco, uno che vive nell’isola alpestre di Chio».
Cosí dice Tucidide; e dal suo brano si ricava dunque che, secondo lui, l’inno ad Apollo Delio apparteneva proprio ad Omero.
Naturalmente, la sua opinione ha valore tutt’altro che decisivo. Ma tuttavia, siccome, evidentemente, rispecchiava la credenza comune, qualche cosa prova: prova che gli Attici del tempo di Pericle, non certo destituiti di gusto, né meno competenti di noi moderni nel giudicare i pregi di stile, non credettero quest’inno indegno del gran cantore dell’Iliade. Ad ogni modo, poi, dimostrano, indiscutibilmente, un altro fatto: che, cioè, ai tempi di Tucidide, quest’inno non solamente esisteva, ma esisteva da lungo tempo, se ogni memoria intorno al suo vero compositore era andata smarrita, sicché la paternità poteva, senza contrasto, esserne attribuita ad Omero.
Ho parlato senz’altro d’inno ad Apollo Delio. Ma, in realtà, questo, e l’inno ad Apollo Pizio, che nelle comuni edizioni si trovano separati, nei codici si seguono senza interruzione, in una serie di 546 versi.
Se non che, la duplicità riesce dimostrata da varii fatti.