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mi trascinò reluttante, che invano levavo le strida.
Questa è la verità, che, sebbene crucciata, ti narro».
     Cosí, per tutto il giorno, col cuore in ambascia, le Dive
l’una dell’altra assai consolarono l’anima e il cuore,
l’una facendo all’altra carezze; ed il cuor dai cordogli
ebbe alfin tregua, e gioia l’una ebbe dall’altra, e la diede.
     E venne Ècate ad esse vicina, dal morbido velo,
e molto festeggiò la figlia di Dèmetra bella;
e fu, da quindi innanzi, compagna e ministra alla Diva.

     E il Nume poi, che tuona profondo, mandò messaggera
Rea dalla chioma bella, perché conducesse fra i Numi
Dèmetra, la Signora dal cerulo peplo; e promise
che onori avrebbe a lei concessi fra i Numi immortali;
e consentí che un terzo dell’anno volubile resti
la sua figliuola nella caligine fosca d’abisso,
gli altri due terzi, presso la Madre, e i Beati Celesti.
     Disse. Né tarda fu la Diva al comando di Giove.
Rapidamente giù si lanciò dalle vette d’Olimpo,
e presto al Rario giunse. Ferace per uberi zolle,
un tempo, era; ma frutto non dava, ma sterile adesso,
arido stava, e molto bianco orzo serrava nascosto,
come Demètra voleva dall’agil malleòlo. Ma presto,
come la Primavera tornasse, doveva fiorire
di lunghe spighe; e tutti di spighe recise gravarsi
i pingui solchi, e giunchi le avrebbero strette in mannelli.
E l’una e l’altra qui, vedendosi, furono liete.
     E Rea parlò, la Dea dal morbido velo, a Demètra:
«O figlia, vieni: Giove, signore del tuono, ti chiama,
ché tu venga fra i Numi: concederti onori promette.