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120 INNI OMERICI 388-416

tornare ancora, e un terzo dell’anno abitare nell’Ade,
e a me vicino gli altri due terzi, ed agli altri Celesti.
Ma quando su la terra olezzino i fiori, e germogli
ogni famiglia di piante, dal buio nebbioso soggiorno
di nuovo tornerai, meraviglia ai Celesti e ai mortali.
Ma in quale inganno il Dio che tutti riceve, ti trasse?»
     E a lei queste parole rivolse Persèfone bella:
«Tutta la verità, madre mia, raccontare ti voglio.
Ermète giunse a me, benevolo araldo veloce,
ché Giove lo mandò, lo mandarono gli altri Beati,
ch’io dall’Erèbo uscissi, che tu mi vedessi, e lo sdegno
funesto deponessi, che t’anima contro i Beati.
Io feci súbito un balzo di gioia improvvisa; e il mio sposo
di melagrano un chicco mi die’, più soave del miele.
Non lo volevo, io no, ma pur mi costrinse a gustarlo.
Come poi mi rapí, per volere del saggio Croníde,
ti spiegherò, ti dirò tutto quanto, cosí come chiedi.
Stavamo tutte noi, fanciulle, sul florido prato,
Elettra, Fèna, Ianta, Leucíppa, Callíroe, Iàca,
Mèlita, Melobósi, Rodèa, Tiche, Ocirëa bella,
Iànira, Acaste, Admèta, Criseia, Ròdope, Pluta,
Urania, Galassàura, Calipso l’amabile, e Stige.
Folleggiavamo, sul prato cogliendo gli amabili fiori,
l’iridi insieme, il croco mirabile, e bocci di rose,
bocci di giglio, a vedere stupendi, e il giacinto, e il narciso,
cui germogliava insieme col croco la terra infinita.
Io li coglievo, dunque, col cuore in letizia; e la terra
si spalancò, ne balzò fuori il Nume che tutti riceve,
e sopra il carro d’oro, pei baratri bui della terra,