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366-387 A DEMETRA 119

quando adirata sei, sacrifizi a placarti, i tuoi riti
devotamente compiendo, recandoti i debiti doni».
     Disse cosí. Giubilò la saggia Persèfone, e un balzo
súbito die’, per la gioia. Ma un chicco soave lo sposo,
di melagrano le die’ di nascosto, perché lo mangiasse,
e a sé cosí provvide, perché non restasse la sposa
eternamente presso la Diva dal cerulo peplo.
Poscia. Edonèo, che a tanti comanda, i cavalli immortali
costrinse sotto il giogo, dinanzi dall’aureo carro.
La Diva il carro ascese, Ermète gagliardo a lei presso
nelle sue mani strinse le briglie e la lucida sferza,
via dalla casa uscí. Né furono lenti i corsieri;
anzi, velocemente percorsero il lungo cammino.
Né correntia di fiumi, né valle selvosa, né fiera
l’impeto rattenere potè dei corsieri immortali,
ch’alto sovressa la terra tagliarono l’ètere a corsa.

E si fermò dove stava la Diva Demètra, dinanzi
al santuario fragrante. La Dea, non appena li vide,
balzò, come Baccante pei floridi boschi d’un monte.

I nove esametri che seguono sono mutilati in modo da
non poterne ricavare, senza sommo arbitrio, un senso
filato. Dèmetra, naturalmente, rivolge dimande alla figlia.
E le dice che se non ha gustato il melagrano potrà
rimanere eternamente su la terra.


     «E presso me, presso il figlio di Crono che i nugoli aduna
abiterai, sarai segno d’onore fra tutti i Celesti.
Ma se quel chicco hai gustato, sotterra dovrai, nell’abisso