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308-336 A DEMETRA 117

E invano il curvo aratro tiravano i bovi pei campi,
e molto candido orzo fu invano gittato nei solchi.
E tutta avrebbe qui sterminata la gente mortale
con l’odïosa fame, privati i Signori d’Olimpo
dei sacrifici avrebbe, del fulgido onor delle offerte,
se non avesse Giove provvisto con l’alto consiglio.
Iri dall’ali d’oro mandò, che chiamasse la Dea
Dèmetra, chiomabella, dal fulgido aspetto; e il comando
súbito quella compie’ di Giove che i nugoli aduna.
Rapida superò, correndo, lo spazio frapposto,
e giunse alla città d’Elèusi tutta fragrante,
nel santuario trovò la Diva dal cerulo peplo,
Dèmetra, e a lei si volse col volo di queste parole:
«Dèmetra, il padre Giove, pensier che non falla, ti chiama,
ché tu venga fra i Numi che vivono eterni; e tu vieni:
vano il messaggio non resti che adesso io ti reco, di Giove».
     Cosí disse pregando; però non convinse il suo cuore.
E allora, il Padre, i Numi beati che vivono eterni,
ad uno ad uno, tutti mandò. La chiamarono quelli,
venuti un dopo l’altro, le offersero doni fulgenti;
ma niun d’essi pote’ convincerne l’anima e il cuore.
Le offerte duramente respinse, tanto era il suo cruccio;
e disse che mai più non sarebbe tornata all’Olimpo,
né più concesso avrebbe che mai germogliassero i frutti,
prima di rivedere la sua prediletta figliuola.

E quando questo, Giove che tuona profondo, ebbe udito,
all’Erebo mandò l’Argicída dall’aurëa verga,
che d’Ade il cuor placasse con miti parole, e adducesse
dalla caligine buia Persèfone ai raggi del sole,