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110 INNI OMERICI 103-132

come pur sono l’aie che allevano i figli ai sovrani,
come le dispensiere, che reggon le case in faccende.
La videro le figlie del figlio d’Elèusi, Celèo,
ch’eran venute qui per attingere l’acqua corrente
entro le brocche di rame, portarla alla casa del padre:
quattro, nel fiore degli anni più belli, e sembravano Dee:
Callídice, con Demo l’amabile, con Clisidíce,
con Callitòe, primogenita; e non ravvisaron la Diva:
ch’è per gli umani cosa ben ardua, conoscere i Numi.
E, stando presso a lei, le volsero alate parole:
«Vecchia, chi sei, donde giungi, rampollo d’antiche progenie?
Lungi dalla città perché stai, né t’appressi alle case?
Entro le stanze ombrose la vita qui passano donne
simili a te negli anni, forse anche d’età più fiorente:
t’accoglierebbero tutte con atti e parole benigne».

     Cosí diceano. E questo rispose la Dea veneranda:
«Figlie mie care, quali che voi delle tenere donne
siate, salvete: io vi voglio dir tutto: non è già vergogna,
se mi volgete voi dimande, che il vero io vi dica.
Mi chiamo Deo: tal nome la nobile madre mi pose;
ed or da Creta giungo, sul dorso del pelago immenso,
a mal mio grado: contro mia voglia, mi trassero a forza
dalla mia terra i pirati. Or questi, col legno veloce
giunsero a Tòrico; e qui, le donne discesero a terra,
tutte in un branco, e i pirati con esse; e vicino agli ormeggi
apparecchiaron la cena. Ma voglia del cibo soave
io non avevo; e via mi lanciai per le strade già buie,
e m’involai cosí dai miei tracotanti padroni,
ché, dopo avermi rubata, da me non traessero lucro.
E, a caso errando, sono qui giunta cosí; ma che terra