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21-43 | A DEMETRA | 107 |
ed invocava il figlio di Crono, l’eccelso, il possente:
però, nessuno udì degli uomini il grido, nessuno
degli Immortali, delle sue vaghe compagne, nessuna.
Solo di Perse la figlia, fanciulla d’ingenuo cuore,
cinta di morbidi veli, dal fondo l’udì del suo speco
Elio sovrano l’udì, d’Iperíone il fulgido figlio,
quando invocava il padre Croníde. Ma questi, lontano
stava, in disparte dai Numi, fra molte preghiere, in un tempio,
gradía le belle offerte degli uomini nati a morire.
E lei che reluttava, rapí, per decreto di Giove,
di sua madre il germano che tutti i defunti riceve,
di Crono il figlio illustre, sui suoi corridori immortali.
Dunque, la Dea, sin che scòrse la terra ed il cielo stellato,
e l’estuante gorgo del mare pescoso, ed i raggi
del sole, ancora speme serbò di vedere la madre
sua veneranda, e le stirpi dei Numi che vivono eterni:
sebben crucciato, il cuore tuttora molciva speranza.
Lacuna.
Certo si diceva che Persèfone, quando ebbe perduta ogni speranza, cominciò a levare alte grida.
Ed echeggiavan le cime dei monti, e gli abissi del mare,
per la divina voce. L’udì la celeste sua madre,
e nel suo cuore acuto cordoglio s’effuse; e le bende
con le sue mani strappò d’intorno alle chiome immortali,
il cerulo suo manto gittò via dagli omeri entrambi,
e si lanciò, che un uccello pareva, per terra e per mare.