vengono a luce, querce d’eccelsa cervice, ed abeti
floridi, tutti belli, sovresse le vette dei monti.
Toccano il cielo le vette: li chiamano templi dei Numi
gli uomini; e i tronchi mai col ferro nessun ne recide.
E quando ad una d’esse la Parca di morte s’appressa,
sopra la terra, prima, si essiccano gli alberi belli,
si strugge tutto intorno la scorza, al suol cadono i rami,
e l’alma loro insieme la luce del sole abbandona.
Esse terranno presso di sé, nutriranno il mio figlio.
E come prima avrà raggiunta l’età piú fiorente,
a te lo condurranno, perché tu lo veda, le Dive.
E sappi ancor, ché tutto ti voglio scoprir ciò ch’io penso:
di nuovo a te col figlio verrò, quando compia il quinto anno.
E come gli occhi tuoi contemplino un tale germoglio,
t’allegrerai di vederlo: ché avrà d’un Celeste l’aspetto.
Ed alla rocca teco tu guidalo d’Ilio ventosa;
e quando alcun ti chiegga degli uomini nati a morire
qual madre mai per te nel grembo portò questo figlio,
dire gli devi ciò ch’io ti dico, ricòrdati bene:
dí che rampollo egli è d‘una Ninfa dal viso di fiore,
che dimorava in questa montagna vestita di selve.
Ché poi, se il vero sveli, se per vanità tu racconti
che unita fu con te Citerèa da la bella ghirlanda,
te colpirà sdegnato col fumido folgore Giove.
T’ho detto tutto: tutto serbar ne la mente tu devi:
frénati, motto non dire, rispetta il volere dei Numi».
E, cosí detto, via si perse, fra i venti, nel cielo.
Salute, o Dea che Cipro, la bene costrutta, proteggi:
io, cominciando da te, vo’ tessere un canto novello.