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CANTO XVII 91

230molti sgabelli vedrete volar dalle mani dei Proci,
che gli faranno a pezzi la testa, le costole a pezzi».
     Detto cosí, l’arrogante, passando, colpí con un calcio
sopra la coscia Ulisse; ma punto né poco lo scosse,
ch’egli restò piantato dov’era; e rimase fra due:
235se col bastone dovesse colpirlo, e levargli la vita,
oppur di peso alzarlo, e battergli a terra la testa.
Ma si contenne però, pose freno al suo cuore. E il porcaro,
vedendo, si crucciò, le mani levò, fece un voto:
«O della fonte Ninfe, di Giove figliuole, se Ulisse
240d’agnelli e di capretti le cosce vi offrí su gli altari,
di pingue adipe avvolte, compietemi il voto ch’io faccio:
possa, deh!, possa Ulisse tornare, lo guidi un Celeste:
ei sperderebbe, sí, le grandi arie che adesso ti dai,
svillaneggiando tutti, a zonzo vagando ogni giorno
245per la città, mentre il gregge distruggono i tristi pastori!»
     E gli rispose cosí Melanzio guardiano di capre:
«Poveri noi, questo cane maestro di guai, come parla!
Un giorno o l’altro voglio cacciarlo in un legno, e portarlo
d’Itaca lungi, dove fruttarmi un bel gruzzolo possa!
250Cosí volesse Apollo colpire Telemaco, oppure
fare che alcun dei Proci lo debba accoppare oggi stesso,
come da un pezzo sfumò la speranza che Ulisse ritorni!»
     E, cosí detto, i due lasciò che movevano adagio,
ed egli, di buon passo rivolto alla casa d’Ulisse,
255presto vi giunse, v’entrò, si mise fra i Proci a sedere,
a Eurímaco di fronte, che gli era su tutti benigno.
I servi della mensa gli diêr la sua parte di carne,
e la massaia attenta gli pose vicino del pane.
S’erano intanto appressati Ulisse e il fedele porcaro;