140Ora, poi ch’ebber placata la brama del cibo e del vino,
d’Ulisse il figlio, e seco di Nèstore il figlio leggiadro,
stretti i corsieri al giogo, saliron sul cocchio dipinto,
e dalla porta fuori, dal portico tutto sonoro
lo spinsero; e con essi movea Menelao chioma bionda, 145con le sue mani vino recando entro un calice d’oro,
dolce, di miele, perché libassero pria di partire.
Stette dinanzi ai cavalli, parlò, volse ad essi il saluto:
«Salute! E voi per me fate auguri al pastore di genti
Nèstore, o figli: ch’egli benigno per me come padre 150sempre fu, quando a Troia pugnarono meco gli Achivi».
E gli rispose queste parole Telemaco scaltro:
«Stirpe divina, come desideri, a Nèstore tutto
riferiremo, appena saremo giunti. Oh!, se anch’io,
fatto ritorno in casa, potessi trovare mio padre 155e gli potessi dire che, colmo da te d’ogni grazia,
son ritornato in patria colmato di vaghi presenti!».
Detto ebbe appena; e a destra, nell’ètere, un’aquila apparve,
che fra gli artigli un’oca stringeva d’immane grossezza,
via dalla corte ghermita: seguivan con alti clamori 160uomini e donne; e quella, poiché giunse ad essi vicina,
a destra si lanciò, dinanzi ai corsieri. A tal vista,
lieti fúr quelli, il cuore brillò nel petto a ciascuno;
e Pisistrato, il figlio di Nèstore prese a parlare:
«Spiegaci, Menelao, divino pastore di genti, 165se per te manda, oppure per noi tal miracolo, il Nume».
Disse; e la mente allora raccolse a pensar Menelao,
per dare ad essi, dopo pensato, un’acconcia risposta.
Elena bella però lo prevenne con queste parole:
«Datemi ascolto, ed io l’evento dirò che i Celesti