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CANTO XIV 23

50la pelle d’un villoso caprone selvatico, folta,
grande, che bene potesse sdraiarsi, e lo fece sedere.
De l’accoglienza Ulisse fu lieto, e tai detti gli volse:
«Ospite, Giove e tutti ti diano gli altri Celesti
ciò che tu brami: ché fatta m’hai sí cordiale accoglienza!»
     55E di rimando, Eumèo porcaro, cosí tu dicevi:
«Ospite, anche se un uomo di te piú meschino giungesse,
io non saprei fargli sgarbo: ché gli ospiti, i poveri, tutti
li manda Giove. Certo, dovrai contentarti: ben poco
è ciò ch’io posso darti: ché questa è la sorte dei servi:
60trepidar sempre, quando comandano i nuovi padroni:
poi che ai Celesti piacque frodar del ritorno il mio sire,
che mi voleva bene davvero, che dato m’avrebbe
certo podere, casa, corredo, e una sposa di garbo,
come il signor liberale suol dare al suo servo, che molto
65sudi al lavoro, e un Dio gli arrida al lavoro ch’ei compie,
come sorride a questo ch’io compio. Oh!, se fosse invecchiato
qui, tali doni avrebbe largito a me pure, il mio sire.
Invece è morto! Cosí fosse d’Elena morta la razza,
da cima a fondo, che fece procombere tanti guerrieri!
70Ché Ulisse anch’egli andò, per l’onor d’Agamènnone, ad Ilio,
alla città dei veloci puledri, a pugnar coi Troiani».
     Detto cosí, con la cinghia si strinse la tunica ai fianchi,
e si diresse a le stalle, dov’erano chiuse le mandre
dei porcellini; e due di lí fuor ne trasse, li uccise,
75li rosolò, li squartò, i quarti infilò negli spiedi;
e quando furon cotti, presentò la carne ad Ulisse,
calda, infilata agli spiedi, cosparsa di bianca farina.
E quindi vino infuse dolcissimo dentro una coppa
d’ellera; e gli sedé di fronte, e, invitandolo, disse: