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CANTO XIV 235

470l’amara pugna; o vuoi che insieme li stringa amicizia?».
     E le rispose Giove che aduna le nuvole in cielo:
«Perché mi volgi questa domanda, figliuola diletta?
Questo disegno forse non l’hai concepito tu stessa,
perché, giungendo, Ulisse traesse vendetta dei Proci?
475Fa’ pur ciò che tu vuoi; ma ciò che dir devo, ti dico.
Ora che tratta ha Ulisse divino vendetta dei Proci,
stringiamo fidi patti; ché Ulisse rimanga sovrano;
e noi Celesti, oblio decretiam della strage dei figli
e dei fratelli: ritorni fra loro l’antica amicizia,
480e la ricchezza e la pace sian d’Itaca sempre retaggio».
     Atena già bramosa fu spinta da queste parole;
e con un lancio balzò vêr la terra dai picchi d’Olimpo.
     Or, quando Ulisse e i compagni spenta ebber la brama del cibo,
cosí prese a parlare Ulisse tenace divino:
485«Esca un di voi, faccia guardia, ché alcun di sorpresa non giunga».
     Cosí disse; ed il figlio di Dolio s’alzò per uscire.
Stette sopra la soglia, li vide che tutti eran presso,
e súbito ad Ulisse parlò queste alate parole:
«Sono di già vicini: s’impugnino l’armi al piú presto».
     490Cosí diceva. E quelli s’alzarono, cinsero l’armi.
Quattro dintorno ad Ulisse: di Dolio i figliuoli eran sei.
Ed ecco l’arme presero anch’essi Laerte con Dolio,
bianchi di pelo entrambi, ma validi ancora alla pugna.
E poi ch’ebbero cinte le membra col lucido bronzo,
495aperto l’uscio, fuori balzarono; e guida era Ulisse.
E accanto ad essi Atena si pose, la figlia di Giove,
che assunta avea la voce di Mèntore e il viso. A tal vista
s’allegrò molto il cuore d’Ulisse tenace divino,
e volse al figlio suo Telemaco queste parole: