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CANTO XIV 227

230disfatto di vecchiaia, con l’animo oppresso dal cruccio,
sotto ad un alto pero sostò, bagnò gli occhi di pianto.
E l’animo ed il cuore gli andava ondeggiando fra due:
se al cuore egli stringesse, baciasse suo padre; e se tutto
gli raccontasse, com’era tornato alla terra materna;
235oppur se lo provasse, se a lui tutto prima chiedesse.
Questo, com’ebbe pensato, gli parve il partito migliore:
volgergli prima parole d’angoscia, per metterlo a prova.
E dritto a lui, pensando cosí, venne Ulisse divino.
A testa bassa quegli zappava dintorno a una pianta;
240e, a lui fattosi presso, cosí disse il fulgido figlio:
«Vecchio, davvero inesperto non sei d’accudire un podere,
anzi la tua perizia da tutto traspare, né pianta
c’è nel verziere alcuna, né fico, né vite, né ulivo,
né pero, aiuola alcuna non c’è, che non sia ben curata.
245Altro però devo dirti, né farne tu devi rancura.
Tu di te stesso cura non prendi; ma insieme t’opprime
trista vecchiaia, e irsuto sei tu, sei coperto di cenci.
Non per la tua pigrizia cosí ti trascura il padrone,
né, chi ti guardi, da te trapela alcunché di servile
250alta statura, all’aspetto; ché anzi ad un re tu somigli:
a un re dal bagno uscito somigli, quando abbia pranzato,
quando s’accinga ai riposo, com’è privilegio dei vecchi.
Ma via, dimmi ora questo, favellami senza menzogna.
Di chi servo sei tu? Di quale signore è quest’orto?
255La verità di questo rispondi, ch’io sappia di certo
se veramente siam giunti in Itaca, come mi disse
quell’uomo ch’ò incontrato testé, mentre qui m’avviavo,
che poca mente aveva però, poi che dir non mi volle
tutto; e le mie domande non seppe ascoltar: ch’io chiedevo