440e ne la corte le poser via via sotto il portico, in fila,
l’una poggiata all’altra, secondo il volere d’Ulisse
che le incitava; e portarle dovevano pur contro voglia.
Poi, quando i seggi e le mense con l’acqua e con l’avide spugne
ebber lavate, Telemaco e il fido porcaro e il bifolco 445con i rastrelli spazzaron le lastre del saldo piantito,
e la sozzura le ancelle gittarono fuor dalla porta.
Poi, quando videro tutto in ordine dentro la stanza,
fuor da la casa bella condusser le ancelle all’aperto,
nella capace corte. Fra il muro di cinta e la torre, 450le ragunarono, donde possibil non era la fuga,
ed il sagace Telemaco a loro cosí favellava:
«Non d’onorata morte conviene che rendano l’alma
quelle che su la mia testa versavano oltraggi ed oltraggi,
e di mia madre Penelope, e accanto dormivano ai Proci». 455Disse; e una gómena presa che fu d’una cerula prora,
l’assicurò, con piú giri, da un grande pilastro alla torre,
alta da terra, ben tesa, che i pie’ non toccassero il suolo.
Come talora tordi dall’ala veloce, o palombi
battono entro una ragna nascosta nel folto cespuglio, 460che ritornavano al nido, ma un lutto fatale li accoglie:
tutte cosí le ancelle dannate alla misera morte
stavan coi capi in fila, col nodo scorsoio alla gola.
Diedero qualche guizzo coi piedi, ma fu cosa breve.
Poi sotto il portico, giú nella corte, condusser Melanzio, 465senza pietà gli reciser col ferro le orecchie ed il naso,
via gli strapparon le coglia, per darle a sbranare ai mastini,
poi gli mozzâr piedi e mani, sfogando cosí la lor furia.
Poi, quando i piedi e le mani lavati si furono, e tutta
l’opera fu compiuta, tornâr nella casa ad Ulisse.