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188 ODISSEA

140ed altrettante celate di bronzo, crestate di crini;
poi si spiccò di lí, tornò, porse il carico ai Proci.
     A quella vista, a Ulisse mancarono cuore e ginocchi,
quando li scorse d’armi coperti, squassare nel pugno
le lunghe lance: allora tremenda gli parve l’impresa;
145ed a Telemaco subito volse l’alate parole:
«O Telemaco, qui Melanzio il pastore o qualcuna
delle fantesche contro ci suscita asprissima guerra».
     E gli rispose l’accorto Telemaco queste parole:
«Io, padre mio, questo sbaglio commisi: non darne la colpa
150a nessun altro: ché l’uscio trovai saldamente sprangato,
e lo lasciai dischiuso; ma io pensai fosse pel meglio.
Ma presto, o buon Eumèo, va su, spranga l’uscio di nuovo,
e guarda bene, se opera è questa di qualche fantesca,
o del figliuolo di Dolio, Melanzio: di lui piú sospetto».
     155Tali parole cosí scambiarono questi fra loro.
Ed il pastore di capre, Melanzio, di nuovo alle stanze
salí per prendere armi; ma il fido porcaro lo vide,
e subito parlò a Ulisse, che gli era vicino:
     «O di Laerte figlio divino, scaltrissimo Ulisse,
160quel maledetto capraro che noi sospettiamo, di nuovo
sale alla stanza. Tu dimmi preciso che cosa ho da fare;
se, superarlo potendo di forze, gl’infliggo la morte,
o se recar lo debbo qui a te, perché tutti i misfatti
abbia a scontare che osò commettere sotto il tuo tetto».
     165E gli rispose, gli disse l’accorto pensiero d’Ulisse:
«Bene Telemaco ed io bastiamo a sbarrare la porta,
a trattenere i Proci, per quanto c’investan di furia.
Voi correte, legate le mani ed i piedi al capraro,
gittatelo entro la stanza, sbarrategli sopra le imposte.