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170 ODISSEA

140Cosí diceva Antìnoo; né a quelli dispiacque l’invito.
E si levò per primo Leiòde, figliuolo d’Enópo,
di sacrifici maestro, che in fondo sedeva alla mensa,
presso al cratere bello, mai sempre. A lui solo odïose
erano l’empietà, nemico dei Proci tutti era.
145Dunque, primo egli così, prese l’arco e l’aguzza saetta:
mosse alla soglia, stette, tentò di flettere l’arco,
né lo poté curvare, pria furono stanche la mani
morbide, non temprate dall’uso; e cosí disse ai Proci:
«Amici, io non lo posso curvare: tenti altri la prova,
150che già quest’arco privi molti altri farà dei migliori
dell’alma e della vita: perché meglio vale morire
che restar vivi, quando fallito ci fosse lo scopo
per cui giorno per giorno noi qui ci aduniamo in attesa.
Tuttora alcuno in cuore la speme alimenta e la brama
155di sposa aver la moglie d’Ulisse, Penelope scaltra:
ma quando avrà veduto, tentata la prova dell’arco,
qualcuna altra dovrà cercar delle Achive eleganti,
per propria moglie, e offrirle presenti di nozze; e la donna
sarà di chi piú doni le porga, e chi scelga il destino».
     160E gli rispose così, coprendolo Antinoo d’ingiurie:
«Quale parola, Leiòde, ti uscì dalla chiostra dei denti?
Dura parola, e grave, che udendola m’empie di sdegno,
se veramente quest’arco dovrà render privi i migliori
dell’alma e della vita, perché tu non vali a curvarlo.
165Ma gli è che la tua madre saputo non t’ha generare
tale campion che sappia scagliare saette dagli archi;
ma facilmente sapranno curvarlo i magnanimi Proci».
     Cosí disse, e chiamò Melanzio pastore di capre:
«Ora del fuoco accendi, Melanzio, su via, nella stanza,