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158 ODISSEA

260e delle viscere innanzi gli mise, gli offerse del vino
entro una coppa d’oro, poi queste parole gli volse:
«Tra i commensali adesso qui siedi, e tracanna del vino:
ed io terrò da te lontano le ingiurie e le mani
di tutti quanti i Proci: perché non è pubblica questa
265casa, bensí d’Ulisse, che acquisto per me n’ebbe a fare.
E dalle ingiurie voi stornate le voglie e dai colpi,
Proci superbi: ché poi non nascano liti e contese».
     Cosí diceva. E tutti si morser le labbra, stupiti
che tanto arditamente Telemaco avesse parlato.
270E cosí prese a dire Antínoo. figlio d’Eupíto:
«Patir l’affronto, Achei, di Telemaco è d’uopo, sebbene
duro ci sembri. Ei parla con tòno di molta minaccia.
Giove Croníde non l’ha voluto: se no da un bel pezzo
posto l’avremmo a tacere, per quanto squillante oratore».
     275Disse cosí. Ma non porse Telemaco ascolto ai suoi detti.
E l’ecatombe sacra dei Numi annunciaron gli araldi
per la città: si adunaron gli Achei dalle floride chiome
sotto l’ombroso bosco di Apollo che lungi saetta.
Quando ebber cotte poi, dagli spiedi sfilate le polpe,
280divisero le parti, sederono a lauto banchetto.
Ed i famigli a Ulisse dinanzi ponevan la parte
simile a quella dei Proci: che aveva cosí comandato
Telemaco, figliuolo diletto d’Ulisse divino.
Ma non permise Atena che i Proci ponessero freno
285alle crucciose scede: volea ch’ira sempre piú tetra
tutto invadesse il cuore d’Ulisse figliuol di Laerte.
V’era fra i Proci un uomo maestro d’ogni tristizia,
che nome avea Ctesippo: in Same sorgea la sua casa.
Pieno di presunzione costui per le grandi ricchezze,