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     Dunque, il divino Ulisse nell’atrio apprestava un giaciglio.
Stese una pelle a terra di bove non concio, e di sopra
velli di pecore molte, che i Proci solevano immolare;
e una coperta su lui che giaceva, Eurinome stese.
5E quivi dunque Ulisse, pensando al malanno dei Proci,
desto giaceva. Intanto uscian dalle stanze le donne,
che da gran tempo già solevano unirsi coi Proci
l’una coll’altra scambiando risate e giocose parole.
Ed a tumulto il cuore batteva nel seno d’Ulisse,
10e piú disegni andava nel cuor, nella mente volgendo:
o se dovesse scagliarsi su loro, ed ucciderle tutte,
o se d’amor lasciasse che un’ultima volta commiste
fosser coi Proci arroganti. Ma in seno il suo cuore latrava
come una cagna che accorre dei teneri cuccioli a schermo,
15contro ad un uomo ignoto: che latra, ed è pronta alla lotta.
In seno il cuor cosí gli latrava per quelle sozzure;
e il petto ei si batteva, cosí gli volgeva rampogna;
— Tollera, cuore mio! Patisti un tormento piú cane
quel dí che Polifemo, l’orribile mostro, sbranava