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CANTO XIII 11

230Come un iddio t’invoco, ti stringo, piegando i ginocchi;
e tu la verità di questo rispondi, ch’io sappia:
che terra è questa? che gente? quali uomini quivi han dimora?
Una dell’isole è questa che sorgon dal mare, o una spiaggia
che si protende tra i flutti del mar dalla fertile tèrra?»
     235E gli rispose cosí la Diva dagli occhi azzurrini:
«Stolido sembri, oppure sei giunto da lungi, straniero,
se tu di questa terra notizie mi chiedi: ché oscuro
punto il suo nome non è, bensí lo conoscono molti
quanti abitan le terre rivolte all’aurora ed al sole,
240e quanti, a tergo, quelle rivolte all’ombroso occidente.
Aspra ella è ben di sassi, non tale da corrervi carri:
misera troppo no, ma neppure troppo ampia si stende.
Biade vi crescono, quante difficile è dirtelo, e vino;
piogge la rendono sempre feconda, e copiosa rugiada.
245Buona nutrice è di capre, nutrice di bovi; e una selva
vi cresce d’ogni pianta, con fonti che corron perenni.
Ospite, sino a Troia conoscono d’Itaca il nome,
ch’è dalla terra achea, raccontano, tanto lontana».
     Cosí disse. Ed Ulisse tenace divino fu lieto,
250che giunto era alla patria, cosí come detto gli aveva
Pàllade Atena, figlia di Giove che l’ègida regge.
E a lei dunque si volse, col volo di queste parole:
né disse il vero, ché un motto già già formato trattenne,
sempre volgendo in mente prudenti assennati pensieri:
255«D’Itaca udii parlare nell’ampie contrade di Troia,
da lungi, sopra il mare. Ed ecco ch’io stesso vi giungo,
con queste mie ricchezze. Lasciatene ai figli altrettante,
erro fuggiasco: ché Orsiloco piede veloce, figliuolo
d’Idomenèo, trafissi, che in Creta dall’ampie contrade