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136 ODISSEA

320sí ch’ei, nella gran sala, seduto a Telemaco presso,
possa asciolvere in pace. E guai se qualcuno dei Proci
dargli tormento vorrà, maltrattarlo; piú nulla di bene
aver potrà fra noi, per quanto s’infuri e si crucci.
Ospite, e come infatti potresti saper se davvero
325supero l’altre donne di mente e di callido senno,
se presentarti al banchetto dovessi coperto di stracci,
sudicio indosso? Ben poco la vita degli uomini dura;
chi sia scortese, chi solo con atti scortesi proceda,
molti malanni dietro gl’imprecano gli uomini tutti,
330mentre egli è vivo; e quando sia spento, lo copron di scherno.
Ma chi, cuore gentile, solo opre gentili conosce,
diffondon gli stranieri sua fama fra tutte le genti,
sí ch’ella cresca; e molti lo chiaman col nome di buono».
     E le rispose Ulisse, l’eroe dall’accorto pensiero:
335«O veneranda consorte d’Ulisse, figliuol di Laerte,
davvero io le coperte, davvero i tappeti fulgenti
odio, dal dí che i monti di Creta coperti di neve
lasciai, partendo sopra la nave dagli agili remi.
Bramo dormir come quando pur dianzi le notti passavo
340vegliando: molte notti disteso in un tristo giaciglio
giacevo, ed attendevo l’aurora dal fulgido carro.
Né molto grato a me riesce il lavacro dei piedi,
né femmina sarà cui consenta toccare i miei piedi,
fra quante ancelle sono fra queste pareti, se pure
345qualche vecchia non sia, grave d’anni, di mente assennata,
che tanti abbia sofferti dolori quanti io n’ho sofferti:
questa non m’opporrei che avesse a toccare i miei piedi».
     E a lui queste parole rispose Penelope scaltra:
«Ospite caro, fra quanti stranieri mi giunser da lungi