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CANTO XVIII 117

290Poscia portò l’araldo d’Eurimaco un raro monile,
d’oro e di chicchi d’ambra foggiato; e fulgea come un sole.
D’Euridamante i due servi portarono buccole belle,
con tre perle ciascuna, fulgore di grazia effondenti.
Dalla magion di Pisandro, figliuol di Polittore, il servo
295una collana recò, gioiello bellissimo; e ognuno
dei pretendenti cosí le diede un regalo diverso.
     Quindi alle proprie stanze saliva la donna divina,
e dietro a lei recavan le ancelle i bellissimi doni.
I pretendenti alle danze si diedero, ai canti soavi,
300e del tramonto, fra questi diletti, attendevano l’ora.
Calò, mentre cosí s’allegravano, il vespero negro.
Subito in mezzo alla sala recaron tre grandi bracieri
che illuminassero; e fasci di legne infiammabili asciutte,
aride già da gran tempo, fendute testé con le scuri,
305sopra vi posero, e schegge minute; e le ancelle d’Ulisse
alimentavano a turno la fiamma. Ed a loro rivolse
tali parole Ulisse divino, dal senno profondo:
     «Via, fantesche d’Ulisse, del sire da tanto lontano,
su ne le sale andate, dov’è l’onorata regina:
310statele presso, tenetela su, spelazzate la lana,
sedete entro le stanze, torcete sui fusi il filato.
Io manterrò la fiamma, sinché qui rimangan, per tutti:
ché se pur vogliono attendere Aurora dal fulgido trono,
non mi sapranno stancare: ché son bene avvezzo ai travagli».
     Disse; e ridevano quelle, guardandosi l’una con l’altra.
315Ma l’investí Melantia gota bella con turpi parole.
Dolco l’avea generata, l’aveva a Penelope addotta,
che come una sua figlia l’aveva allevata, che in tutto
la compiaceva; ma quella pensiero di lei non si dava,