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CANTO XVIII 109

50E l’accortissimo Ulisse, con subdola mente rispose:
«Buoni signori, che un vecchio fiaccato dai guai si misuri
con uno assai piú fresco, possibil non è. Ma la fame
mi ci costringe, la trista, per farmi accoppare di busse.
Ma tutti voi, su dunque, prestatemi giuro solenne,
55che per soccorrere Iro, nessuno la mano gagliarda
malvagiamente su me leverà per mettermi a terra».
     Cosí diceva: e tutti giurarono come chiedeva.
E poi ch’ebber formato, prestato quel giuro solenne,
sorse fra loro, divino rampollo, Telemaco, e disse:
     60«Se il cuore, ospite, a te, pur basta, e lo spirito prode,
contro quest’uomo, niun altro tu devi temer degli Achivi:
ché se qualcun ti battesse, l’avrebbe da fare con molti.
E Antínoo con me lo promette, ed Eurímaco, entrambi
sovrani, entrambi saggi: la casa che t’ospita è mia».
     65Disse cosí: tutti quanti approvarono; e subito Ulisse
come una fascia i suoi stracci si cinse, a celar le vergogne;
e le sue cosce gagliarde si videro e grosse, e le polpe
larghe, ed i fianchi e le braccia massicce: ché Atena, venuta
presso al pastore di genti, le membra gli aveva ingrossate.
70Tutti le gran meraviglie facevano i Proci a tal vista.
E l’un guardando l’altro, diceva ciascuno al vicino:
«Iro a momenti è spacciato! S’è andato a cercare il malanno!
Vedi che reni, che lombi non ha sfoderato quel vecchio!»
     Tanto dicevano. E ad Iro veniva già meno il coraggio.
75Ma tuttavia lo fasciarono i servi, lo spinsero a forza,
pien di paura; e le polpe tremavan per tutte le membra.
Ma, lo copriva Antínoo d’ingiurie, cosí gli diceva:
«Mai non ci fossi, bove poltrone, venuto fra i piedi,
se devi stare a tremare, se tanta paura ti mette