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CANTO XVII 99

470le sue sostanze, i suoi giovenchi, le pecore bianche.
Antinoo invece m’ha colpito pel ventre dannato,
pel maledetto ventre, che tanto travaglia le genti.
Ma se ci sono Dei, se ci son, pei tapini, l’Erinni,
dovrà, prima ch’ei sposi, piombare su Antinoo la morte».
     475E gli rispose cosí Antinoo, figlio d’Eupito:
«Siediti, e mangia in silenzio, straniero, oppur vattene altrove,
ché non ti debbano i Proci, se tu cosí parli, scacciare,
presoti per un pie’, per un braccio, e cavarti la pelle».
     Disse. Ma fieramente rimasero gli altri sdegnati;
480e gli parlò cosí talun di quei giovani altieri:
«Bello, Antinoo, non fu colpire un tapino errabondo.
Povero te, se fosse qualcuno dei Numi del cielo!
Ché spesso i Numi stessi, d’erranti stranieri in sembianza,
percorron le città, tutte quante assumendo le forme,
485per esplorare le genti, chi sia prepotente, chi giusto».
     Cosí diceano i Proci. Ma quegli dei loro discorsi
non si curava punto. Telemaco, il cruccio a quel colpo
crescer sentì. Ma stilla dal ciglio però non gli cadde:
solo crollò, volgendo sinistri pensieri, la testa.
     490Ora, come ebbe saputo Penelope accorta, dell’uomo
sotto il suo tetto percosso, cosí favellò fra le ancelle:
«Deh!, lo colpisse cosí con le frecce infallibili Febo!»
     E la massaia aggiunse Eurinome tali parole:
«Deh!, se avessero mai compimento le nostre preghiere!
495Niuno di questi dovrebbe vedere il ritorno d’Aurora!».
     E le rispose con queste parole Penelope scaltra:
«Mamma, son tutti odïosi, che tramano tanti malanni;
ma Antinoo lo aborrisco non men de la livida morte.
Un poverello straniero girando va or per la casa,