440me diedero a Demetrio Iaside, quivi ospite giunto,
grande signor di Cipro, che in patria con sé mi recasse;
e qui da Cipro or giungo, percosso da mille dolori».
E Antinoo gli parlò, gli rispose con queste parole:
«Qual Dio ci manda questo malanno, a guastare le feste? 445Fermati in mezzo costí, lontan dalla tavola mia,
ché tu presto approdare non debba a una Cipro, a un Egitto
di molto amaro! Sarai sfacciato e protervo, accattone!
Ad uno ad uno, a tutti ti accosti: da tutti ricevi
a piene mani: ché niuna pietà, niun riguardo li frena 450dal farsi belli coi beni degli altri: ché n’hanno di molti».
E ritraendosi, Ulisse, l’accorto pensiero, gli disse:
«Ahimè! l’animo, dunque, tu pari all’aspetto non hai!
Di casa tua non daresti neppure un granello di sale,
se d’altri ora alla mensa tu siedi, ed il cuor non ti basta 455di darmi un po’ di cibo: ché tu n’hai dinanzi gran copia».
Cosí disse. Ed il cuore d’Antinoo piú arse di furia;
e bieco lo guardò, parlò, disse queste parole:
«Uscir da questa sala, dovrà, dico io, riuscirti
poco gradito, dacché tu osi anche dire insolenze!». 460Cosí disse, afferrò, scagliò lo sgabello, e lo colse
al sommo della schiena, su l’omero destro. Ma Ulisse
stette come una rupe; né il colpo d’Antinoo lo fece
pur vacillare; e, muto, volgeva feroci pensieri.
Crollò la testa, tornò su la soglia, la colma bisaccia 465depose a terra, e ai Proci con queste parole si volse:
«Datemi ascolto, o voi che ambite l’eccelsa regina:
ch’io dico ciò che il cuore mi va suggerendo nel seno.
Cruccio non è, non è rammarico alcuno nel cuore,
per chicchessia, se resta colpito mentr’egli difende