Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) I.djvu/57

LVIII PREFAZIONE

qualche cosa: il letto nuziale, per esempio, o la zattera, abbattendo gli alberi al bosco, compaginandone i tronchi, costruendone le sponde e gli alberi. C’è come un presentimento della poesia di Robinson.

E dovunque c’è un rifugio dopo il pericolo, un pasto abbondante dopo la fame, un caldo riparo asciutto dopo le intemperie, qui il verso diviene piú lucido, gli epiteti piú intensi; qui la calda fiamma che divampa dai ciocchi arsi, il pingue fumo delle carni, l’inebriante fragranza del vino, e il fàscino dei racconti, mentre fuori stride la pioggia e fischiano i venti, avvincono il lettore, gli fanno vivere la vita d’Ulisse.

Ché il poeta partecipa tutte le vite; ma piú lo interessa, e con maggior vivacità egli la riproduce, la vita dell’avventuriere. Avventuriere egli stesso.

E cosí io mi figuro il poeta dell’Odissea.

Sopra un legno di mercanti, e, chi sa, di pirati, di costa in costa, d’isola in isola, percorre tutto il Mediterraneo, che sembra veramente infinito. Disteso a prora, dal primo all’ultimo raggio di sole, mentre le vele gonfie rapiscono a volo il battello, a pari dei gabbiani, contempla, con le avide pupille del poeta, le infinite parvenze del cielo e del mare. A notte, giacendo a poppa, come Ulisse nel battello dei Feaci, avvolto in una ruvida coltre, fissa le stelle roteanti attorno all’Orsa, unica immune dai lavacri d’Ocèano, sinché giunge a sopirlo il sonno datore d’oblio.

E nelle interminabili bonacce, tocca la sua lira, e canta ai marinari. Canta le gesta degli eroi. Ma spesso, forse piú