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LIV PREFAZIONE


Abbiamo due serie di suoni, una di quelli dell’alto mare estuante, l’altra dei flutti che urtano il lido.

La prima, di colore cupo, distinta dal prevalere dell’u, è variata di tre vocaboli, δοῦπος, la cupa romba generica, κῦμα il flutto rigonfio, ἐρεύγομαι (rugio) il fosco ruggito delle onde correnti.

La seconda, anche piú evidente, rende con finissime combinazioni di aspiranti, dentali, nasali, sibilanti, liquide, i rumori, molto piú vari, delle onde che si frangono al lido. ποτί ξερόν l’urto secco. In σπιλάδεσσι θαλάσσης, che nella lettura risulta σπιλαδέσσι θαλάσσης il flagellio, lo schiaffeggío fitto incessante delle piccole onde sulle rupi. In πάνθ´ ἁλὸς ἄχνῃ, il suono minuto, trito, quasi la polverizzazione dell’acqua dopo che le grandi masse si sono infrante contro gli scogli.

E tutte, purché lette con fine pronuncia, e con la debita scaltrezza ritmica, risultano cosí le descrizioni del mare nell’Odissea. La perfezione d’orecchio del poeta, la sua abilità nel compaginare sillabe e vocaboli, son prodigiose. E cosí avviene che tutta l’Odissea, anche ad orecchi non perfettamente scaltriti, suoni continuamente di mare. È una sinfonia marina, è la sinfonia del Mediterraneo.

E non solo in questo genere di pitture, dove tra fenomeno e parola intercede rapporto semplice, cioè fra cose omogenee, da suono a suono, si mostra la eccellenza artistica di Omero. Anche piú mirabile appare la sua virtú creatrice quando il rapporto è piú complesso, tra fenomeni visivi e parola, e perciò la traduzione assume carattere anche piú arduo e trascendente. Ma di questo parlerò nella prefazione all’Iliade.