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PREFAZIONE LIII

forma rivestisse ai tempi di Omero il patrimonio di queste gnòmai. Poniamo che fosse oro. Omero raccoglie quest’oro, e lo foggia in forme perfette, definitive.

Virtú dello stile. E per stile intendo un complesso di caratteri: suono assoluto delle parole, nel loro complesso e negli elementi: loro irradiazioni ideologiche, loro compagini, e nelle compagini interferenze di suoni e di immagini, architettura della frase e del periodo: in una parola, cristallizzazione della materia parlata.

E dello stile si può e si deve fare un’analisi che dimostrando la eccellenza assoluta del poema in ogni sua parte, vale a spiegarne il fàscino profondo. Un saggio, limitato piú che altro al colore e al suono delle parole, ne diede il Foscolo nelle sue bellissime osservazioni sul cenno di Giove. Leggendole si vedrà la vera via per giungere alla intelligenza artistica del testo omerico.

La sede per una simile disamina non potrebbe essere che un commento, e piuttosto orale che scritto, e non già una prefazione. Tuttavia mi credo in dovere di recare almeno un brevissimo esempio, di tre versi (V, 401).

καὶ δὴ δοῦπον ἄκουσε ποτὶ σπιλάδεσσι θαλάσσης·
ῥόχθει γὰρ μέγα κῦμα ποτὶ ξερὸν ἠπείροιο
δεινὸν ἐρευγόμενον, εἴλυτο δὲ πάνθ´ ἁλὸς ἄχνῃ.

In una buona lettura ritmica, il romorio del mare risulta espresso con evidenza sorprendente.