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PREFAZIONE LI

c’è bisogno di rimuover veli, né di additare punti di vista ai non iniziati. Tutte queste immagini sono bene a fuoco, ben nitide, anche per le pupille del piú semplice lettore.

Una sofistica ipercritica presumeva farci vedere che quelle immagini erano false. False erano le lenti che essa ci offriva. Dopo le mirabili scoperte archeologiche, rileggiamo ad occhio nudo l’Odissea, e vediamo la verità. Chi mai, per addurre un solo esempio, potrebbe darci una immagine di Creta piú fedele di quella d’Omero?

Levasi in mezzo al mare purpureo la terra di Creta,
bella, ferace, tutta recinta dai flutti. Novanta
quivi son le città, numerar niun potrebbe le genti.
Parla ciascuna una lingua diversa, commista. Qui Achèi,
quivi i Cretesi puri, magnanimi, quivi i Cidònî.
e, in tre tribú divisi, coi Dori i divini Pelasgi.
Cnosso, la gran città, qui levasi, dove Minosse
per nove anni regnò, che solea favellare con Giove.

E usciamo dai confini di Grecia. Il poeta conduce il lettore in giro per tutto il mondo, vuoi nelle avventure d’Ulisse, vuoi nei racconti di questo o di quel personaggio. Racconti di vicende reali e di vicende inventate, come quelli che sovente Ulisse improvvisa. Ma l’invenzione ha piú valore della realtà, perché deve sembrare verisimile.

Ed ecco la vita di Creta, propizia agli audaci e agli avventurieri. Le pronte incursioni temerarie nell’Egitto, che con la sua pingue vita facilmente adescava pirati e non pirati. E la frodolenza dei Fenici e la loro abilità di predoni. E re Echeto che strazia barbaramente i prigionieri. E mille e mille altre immagini, che dobbiamo oramai ascrivere alla storia e non alla favola.