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PREFAZIONE XLIX

vaso, dai fusti, alle foglie, ai verticilli dei fiori, che s’aprono con irradiazioni di luce e nembi di fragranze, ai gonfi ricettacoli che chiudono il mistero delle generazioni future.

Dunque, riflesso di vita, e non giòco d’immaginazione, e sia pur fervidissima, risulta sicuramente il poema d’Ulisse. E di tutta la vita. Come tutti i libri immortali, l’Odissea è universale. In essa appaiono riflessi il presente ed il passato, quali, in un punto del tempo, si rispecchiarono nella fantasia d’un sommo artista. Aguzziamo lo sguardo; e dietro il velo trasparente della leggenda vediamo linearsi distinte le immagini di misteriose età primeve.

È, nell’episodio del Ciclope, l’età dei bestioni primitivi, non piú randagi, ma tuttora ignari d’ogni civiltà, senza leggi, senza agricultura, senza case, cavernicoli, e solo esperti di pasturar greggi.

Un po’ meglio inciviliti sono i Lestrigoni. Accoppano, al par dei Ciclopi, gli stranieri, e ne fanno nefando banchetto; ma già riconoscono un re, hanno strade lisce, carri, belle eccelse reggie. Sono i famosi Ciclopi costruttori, il popolo che coprí tanta parte dell’Europa con le mura gigantesche di cui rimangono anche oggi le stupefacenti vestigia. Essi, dalle regioni centrali e montuose, chiuse ad ogni contatto e ad ogni civiltà, giunsero alle spiagge del mare, che provoca i rapporti fra gente e gente, ed è fattore potentissimo d’incivilimento. E qui trovarono un popolo di marinari già pervenuti ad una civiltà che illumina come un’aurora le nostre anime stanche. Un popolo pacifico:

ché né di frecce né d’archi si dànno pensiero i Feaci,
bensí d’antenne, di remi per navi, di legni veloci,
su cui traversan lieti le candide spume del mare.

Omero. I -****