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PREFAZIONE XLV


Per dire la verità, a me sembra che simile metodo si potrebbe certo attribuire a qualche cartofilace poeta alessandrino. Ma un Omero chino su uno scartafaccio, un Omero che fa libri di libri, non saprei concepirlo. Libri d’Omero furono il cielo, il mare, le foreste e il cuore umano.

Ma s’accetti o si respinga questa ipotesi, immutato rimane il valore delle ricerche, e, piú ancora, dei viaggi del Bérard.

Grazie ad essi, noi vediamo la geografia omerica dei viaggi di Ulisse adattarsi perfettamente alla geografia reale. Se Omero avesse inventato di sana pianta, di certo non ci potrebbero essere tali e tante coincidenze. Una base reale ci deve essere. E siamo pure ipercritici, peggio che ipercritici; ma dovremo sempre ammettere che in linea generale il paesaggio dell’Odissea è il paesaggio mediterraneo; e che Omero lo conobbe e s’ispirò ad esso direttamente.

Che poi in questo o quel punto si debba sostituire una località ad un’altra, che so, i faraglioni dell’Etna alle guglie di Nisida, è circostanza di poco rilievo: il carattere del paesaggio non muta. In questo sfondo Omero vide svolgersi le avventure di Ulisse. E quando anche noi lo abbiamo ben lucido dinanzi alle pupille dell’anima, vediamo in esso ricomporsi naturalmente tutte le circostanze e tutte le figure del poema. Il disegno lineare diviene prospettico, e l’aria s’insinua e circola tra le varie figure, che acquistano individualità, concretezza, vita.

E non è tutto. Questa diretta visione geografica ci mostra lucida la genesi dei miti, il loro rampollare, come piante, da radici terrestri.