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XL | PREFAZIONE |
nel mito delle Sirene risuona chiaro «l’antico lamento di spose e di figli abbandonati nelle petrose isole e penisole dell’Egeo, e cui piú non tornarono i mariti e padri partiti sulle agili navi, i quali si fermarono in questi lidi incantati e qui, in oblivioso ozio facile vita menando, d’ingloriosa morte perirono».
E questa ipotesi contiene certo gran parte di verità. Ma la vista di quei luoghi incantevoli fa nascere un’altra idea. Anche in una povera fotografia, il fantastico giuoco di luci che abbraccia e imbeve, fra cielo e mare, quelle zone pittoresche, emana un fàscino strano. È quasi un paesaggio soprannaturale. E può essere che questa bellezza fantastica, unita col pericolo sempre imminente sui naviganti che si avventurarono in quei paraggi, desse origine alla leggenda della bellezza affascinante e fatale.
In fin dei conti, anche il mito è creazione fantastica, che muove da fatti naturali, ma li trasforma. Anzi, proprio in questa trasformazione consiste la creazione. Non conviene cercare d’ogni mito i precisi modelli nella natura; e non le sole forme definite, ma anche una impressione generica può dare origine a miti antropomorfi.
Le Rupi vaganti. Dopo le Sirene, Ulisse, a detta di Circe, deve scegliere fra due vie ugualmente pericolose. Una, dominata da Scilla e Cariddi, l’altra dalle Rupi vaganti1, fatali ai naviganti:
- ↑ Cosí va inteso, senza dubbio, il πλαγκταί. Io tradussi prima cozzanti (che è rimasto ancora in questa edizione) per la loro identificazione con le Simplegadi, che risulterebbe dai versi 69-72. Ma questi versi sono certo interpolati; e caduta l’identificazione, non c’è ragione di allontanarsi dal valore etimologico del vocabolo.