Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
XXXIV | PREFAZIONE |
Inesplicabile sembra invece l’epiteto eyryodèie — dall’ampie strade — onde Ulisse caratterizza il paese apparsogli dall’alta vedetta. Come poté scorgere ampie vie, dove non sono che macchioni e foreste impenetrabili?
La terra stessa del Lazio risolve la difficoltà; e con un fenomeno quasi prodigioso.
L’osservatore che, al principio d’Aprile, salga su una tomba dell’Appia, volgendo attorno lo sguardo, può contemplare un singolare spettacolo. L’asfodelo (porrazzo) che apre per tutta la campagna i suoi fiori biancorosei, striati di violetto, in alcuni punti si addensa fittissimo, in lunghissime linee, che, ora diritte, ora sinuose, si perdono lontano pei campi.
Sono antiche vie. L’asfodelo, che attecchisce di preferenza dove l’humus è poco profondo, si addensa naturalmente qui, dove appena un leggero strato di terriccio ricopre le pietre del lastrico.
E alcune di queste linee fiorite disegnano un sistema di vie ben conosciute, il romano. Altre sono anteriori all’età classica, e furono abbandonate da quando i Romani conquistarono queste regioni. Le loro diramazioni non concordano con veruna delle città classiche; e molte si dirigono invece verso le Paludi Pontine.
Queste furono un tempo fecondissime, le piú fertili e piú ricche del mondo preromano; e collegate con tutta una serie di rocche, le cui rovine coronano ancora le vette dei Lepini.
Strade dovevano certo congiungere questi campi a quelle rocche: e queste appunto ebbe a scorgere Ulisse dalla eccelsa vedetta.
Il paese dei morti. Ulisse, partito da Circe, naviga col vento del Nord (Canto X. 507). Il battello fila per tutto il