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PREFAZIONE XXXIII


Attraversato questo mar di verzura, i compagni d’Ulisse trovano la casa di Circe, fra valloncelli selvosi (bèssai). Ed ecco, di fronte al monte Circeo, oltre il bosco e la palude, le falde dei Lepini, tutte intersecate di valloncelli boscosi.

Il piú importante è quello che ha nome da San Benedetto. Quivi, anche oggi, all’ingresso della valle, a pie’ della punta di Leano, a tre miglia da Terracina, si vedono le rovine del Tempio di Feronia.

Feronia era una Dea delle fiere1, giovinetta, bella, coronata di fiori di melograno. Evidentemente, è, con nome cambiato, la stessa Circe, che, se converte solamente in porci i compagni d’Ulisse, è però circondata da fiere d’ogni specie:

Tutto d’intorno, lupi movevano, e alpestri leoni,
ch’essa tenea domati, perché li molciva coi filtri.

E in questo valloncello si trova persino il mòly, il magico fiore dal nome divino, che Ermete offre ad Ulisse come antidoto contro i filtri di Circe:

Negra esso avea la radice, sembravan latte i suoi fiori:
moli lo chiamano i Numi; né facile cosa è sbarbarlo
per i mortali; ma tutto concesso è ai signori del cielo.

È l’Atriplex halimus, frequentatissimo in queste terre. Pallido giallastro il fiore, negra la radice. Né il Bérard, né un botanico suo amico riuscirono a sbarbare la pianta con la radice: tutti i gambi si rompevano fra le mani a livello del suolo.

  1. Fera-Feronia, come Fidus-Fidonia, Boves-Bubona, Petrus-Petronia, Poma-Pomona, Bellum-Bellona.
Omero. I -***