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CANTO XII 237

la mensa si prepari vicino alla rapida nave:
290dimani, all’alba prima, di nuovo saremo sul mare»„
     Questo Euríloco disse: approvarono gli altri compagni.
E ben conobbi allora che un dèmone il danno tramava;
e, volto ad essi, queste parole veloci a lor dissi:
«Tutti mi fate forza, Euríloco; ed io sono solo:
295ma tutti quanti adesso prestatemi un gran giuramento:
che, se mai qualche mandra di vacche troviamo, o una greggia
grande di pecore, niuno sia tanto malvagio, né empio
che né vacca né pecora uccida. Ma state contenti
solo a quel cibo che a me die’ Circe, la diva immortale».
     300Dissi. E cosí come io volli giurarono súbito quelli.
E poi ch’ebbero il giuro prestato, ch’io l’ebbi raccolto,
dentro il concavo porto spingemmo la rapida nave,
presso ad un’acqua che dolce sgorgava; e discesi i compagni
giú dalla nave, con tutto lo zelo imbandiron la cena.
305Poscia, quand’ebbero spenta la brama del cibo e del vino,
si ricordarono allora, gemeron sui cari compagni,
cui trangugiati aveva, dal legno strappandoli, Scilla;
e sovra lor calò, mentre essi piangevano, il sonno.
Or, quando all’ultimo terzo giunta era la notte, e le stelle
310eran partite, Giove che i nuvoli accumula, un vento
impetuoso eccitò, con turbini e piova; e di venti
terra coperse e mare: piombò giú dal cielo la notte.
Come l’Aurora apparí mattiniera, ch’à dita di rose,
fuori dai flutti la nave traemmo in un concavo speco,
315dove le Ninfe danzavano, e intorno vedevi i lor seggi.
Poscia i compagni tutti raccolsi, ed a lor cosí dissi:
«Nella veloce nave, compagni, son cibi e bevande;
ma non tocchiam le giovenche, ché poi non c’incolga malanno: