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CANTO XI 223

525illeso: ch’ei ferita non ebbe di lucido bronzo
da lungi inferta, o in zuffa da presso: che spesso interviene
nelle battaglie; ché Marte senz’ordine infuria nei colpi».
     Cosí gli dissi. E l’alma d’Achille dal piede veloce
s’allontanò, lunghe orme stampando, sul prato asfodelo,
530lieto che il figlio tanto si fosse distinto fra i prodi.
L’altre anime, via via giungendo, dei morti guerrieri,
stavano piene di doglie, narrando ciascuna sue pene.
L’alma però d’Aiace figliuol di Telàmone, stava
sola in disparte, tutta crucciata con me per la gara
535ch’ebbi con lui, che vinsi vicino alle navi ricurve.
Premio eran l’armi d’Achille: deposte la madre divina
le avea: Pallade Atena fu giudice, e seco i Troiani.
Deh!, non avessi mai conseguita quella vittoria!
Ché, per sua causa, la terra nel grembo nascose un tant’uomo:
540Aiace, che d’aspetto, che d’opere egregie eccelleva
sui Dànai tutti, dopo l’egregio figliuol di Pelèo.
E a lui mi volsi allora, con queste parole soavi:
«O di Telàmone figlio, Aiace, neppur dopo morto
scordar ti vuoi del cruccio contro me per l’armi dannate,
545onde, voler dei Numi, gran doglie patiron gli Argivi,
tale una loro torre crollava con te! Di tua morte
non meno che d’Achille figliuol di Pelèo ci crucciammo
quanti eravamo Achivi, dal fondo del cuor; né cagione
altra vi fu; ma Giove la schiera dei Dànai guerrieri
550ferocemente odiava: perciò decretò la tua morte.
Ora t’appressa qui: porgi ascolto, signore, ai miei detti,
odi le mie parole, pon freno alla furia, allo sdegno».
     Dissi cosí; ma nessuna risposta mi diede; ed insieme
con l’altre anime mosse, per l’Èrebo, asilo dei morti.