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CANTO XI 211

da che prima seguii Agamènnone sangue divino
verso Ilio, di cavalli nutrice, a pugnar coi Troiani.
170Ma dimmi adesso ciò, rispondimi senza menzogna:
quale di morte doglioso destino t’ha dunque fiaccata?
Un lungo morbo, forse? o Artèmide vaga di strali
te con le miti saette percosse, e ti diede la morte?
E di mio padre dimmi, del figlio che in casa ho lasciato,
175se ancora il mio potere ad essi rimase, o se altri
l’occupa già, per certezza ch’io piú ritornare non debba.
E dimmi della sposa contesa, che pensa e disegna:
se presso il figlio rimane, di tutto fedele custode,
o se l’ha già sposata chi piú fra gli Achivi primeggia».
     180Cosí dissi. E a me pronta rispose la nobile madre:
«Certo, rimane certo la sposa, con cuore tenace,
nella tua casa; e vede distruggersi l’un dopo l’altro
le notti e i giorni, in pena; né mai si rasciuga il suo pianto
Il tuo potere, no, nessuno lo usurpa; ma in pace
185vigila sui tuoi beni Telemaco, e parte alle mense
pubbliche prende, come s’addice ad un re: ché ciascuno
lo invita. Ma tuo padre la vita nei campi trascorre,
e mai nella città non scende, né letto possiede,
né manti, né coperte, né vaghi tappeti. L’inverno,
190vicino al focolare, tra i servi riman dentro casa,
sopra la cenere, e dorme coperto di misere vesti;
quando l’estate poi sopra giunge, ed il florido autunno,
qua e là sopra le balze, fra i tralci di qualche vigneto,
si sdraia lungo in terra, su letti di foglie cadute;
195e qui crucciato giace, gran doglia nutrendo nel cuore,
te desiando; e su lui s’aggrava la triste vecchiaia.