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190 ODISSEA

200e acuti alzavano urli, versavano lagrime amare:
ma che vantaggio mai traevan dai gridi e dal pianto?
     Quivi in due schiere tutti divisi i miei prodi compagni,
pari di numero, e un capo preposi a ciascuna. Dell’una
tenni il comando io stesso, dell’altra fu Euríloco duce.
205Quindi agitammo le sorti nel cavo d’un elmo di bronzo;
e balzò fuori la sorte d’Euríloco, cuore gagliardo.
Egli si mosse; e insieme con lui ventidue dei compagni:
essi piangevano; e noi sul lido lasciarono in pianto.
     Entro una valle, il palagio trovarono bello di Circe,
210tutto di lucidi marmi, nel mezzo a un’aprica pianura.
Tutto d’intorno, lupi movevano e alpestri leoni,
ch’essa tenea domati, perché li molceva coi filtri;
né s’avventarono punto sugli uomini; e invece, levati
sui pie’, le lunghe code festosi agitavano tutti.
215Come al padrone che torna da mensa costumano i cani
scodinzolare, ché sempre con sé porta qualche leccume:
cosí lupi ed unghiuti leoni d’intorno ai compagni
scodinzolavano; e quelli temevan, veggendo le fiere.
Stettero innanzi alla soglia di Circe dal fulgido crine.
220E udir la voce bella di Circe che dentro cantava,
ed una tela grande tesseva, immortale, siccome
l’opere son delle Dive, son fini eleganti fulgenti.
Primo a parlare prese Políte signore di genti,
ch’era fra tutti i compagni l’esimio, il piú caro al mio cuore:
225«Compagni miei, c’è una lí dentro che tesse una tela,
e dolcemente canta, che tutta n’echeggia la casa,
non so se donna o diva: su’, diamole presto una voce».
     Disse cosí: tutti quanti levaron le voci a chiamare.
Súbito Circe aperse le fulgide porte, uscí fuori,