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PREFAZIONE XXIII


Come non ricordare la descrizione omerica:

Or, mentre questi pensieri volgeva nell’alma e nel cuore,
ecco un immane flutto lo sbattè sugli aspri frangenti.
Ei si lanciò con entrambe le mani, s’avvinse allo scoglio,
quivi si tenne gemendo, sin che fu passato il gran flutto.
Cosí potè schivarlo; ma poi, nel reflusso, di nuovo
sopra gli fu, lo sbatté, lo scagliò lontano nel mare.

I Ciclopi. Le prime due avventure che Ulisse racconta ad Alcinoo, son quelle dei Ciconi e dei Lotofagi. Poco servono al nostro scopo: veniamo senz’altro ai Ciclopi.

Anche qui il mito, assai piú trasparente, ci mette sulla via. Certo la favola dei Ciclopi ripete la sua prima origine dai vulcani, che hanno un grande occhio rotondo, mandano boati formidabili, lanciano massi enormi a enorme distanza, spingono tutto intorno una raggiera di braccia di fuoco.

Ma le personificazioni di questi fenomeni sembrano al popolo tutta una cosa coi selvaggi antropofagi, residui d’una antica umanità barbara e possente, che ancora vivevano qua e là anche sulle coste dei paesi mediterranei.

Il mito si può anche oggi rivivere, novellamente creare. Chi naviga, per esempio, il mare di Sicilia, lungo le coste di Catania, vedendo le spiaggie gremite di enormi sassi e gli isolotti scogliosi emergenti a poca distanza (i famosi Faraglioni) è naturalmente indotto a fantasticare che qualcuno li abbia quivi scagliati. E se, durante la notte, o anche durante il giorno, vedrà lampeggiare, udrà tuonare la vetta dell’Etna immane, crederà che quella mostruosa potenza sia stata appunto capace di cosí terribile effetto.

Che se poi, disceso a terra, tenterà, un po’ fuori dalle vie consuete, l’ascesa del monte, potrà intervenire ciò che