sempre le vesti ambrosie che date m’aveva Calipso. 260Ma quando giunse poi, volgendosi i dí, l’anno ottavo,
allora m’esortò, conforto mi die’ ch’io partissi,
ché lo voleva Giove — se pur non mutò la sua mente.
Sopra una zattera stretta da molte ritorte mi pose,
pane mi die’, vino pretto, mi cinse di vesti divine, 265e un’aura dietro me spedí favorevole e mite.
Per dieci giorni e sette cosí navigai sopra l’onde.
Al diciottesimo apparvero i monti velati d’ombria
di questa vostra terra; e il cuore mi rise di gioia.
Misero me! Ché dovevo trovarmi fra molti travagli 270che inflisse a me Posídone, il Nume che scuote la terra,
che mi sbarrò la via con l’urto di vènti contrari,
e suscitò marosi terribili; e flutti su flutti
non consentivano a me di restar su la zattera. In lagni
alti io rompevo. Infine la franse un gran cozzo di venti; 275e allora io fendei questa voragine a nuoto. Alla fine
i venti e le correnti mi spinsero all’isola vostra,
dove m’avrebbe un grande maroso spezzato alla terra,
sbattendomi alle immani scogliere e all’inospite costa;
ma io, trattomi indietro, di nuovo nuotai, sin ch’io giunsi 280al fiume, ove mi parve che fosse migliore l’approdo,
privo di scogli, e alture sorgevano a schermo dei venti.
Qui caddi, e presi fiato; e scese la notte divina.
Fattomi quindi lungi dal fiume caduto dal cielo,
dentro un macchione a dormire mi posi; e un gran mucchio di foglie 285mi feci attorno; e un Dio m’infuse infinito sopore.
Qui, nel fogliame dormii, per quanto crucciato nel cuore,
tutta la notte, e l’alba, e mezzo del giorno seguente.