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86 ODISSEA

che tu pianga e t’affanni. È, sappilo, già di ritorno
il figlio tuo: ché i Numi nol tengono in conto d’un empio».
     795A lei rispose queste parole Penelope saggia,
entro le porte dei sogni sopita in dolcissimo sonno:
«Perché sei qui venuta, sorella? Venir pel passato
tu non solevi, perché la tua casa è tanto lontana.
E mi conforti ch’io desista dai tanti cordogli
800e dagli affanni che sempre mi crucciano l’animo e il cuore.
Prima perdei lo sposo mio forte, dal cuor di leone,
ch’era per ogni virtú famoso fra i Danaï tutti:
ora il figliuolo diletto partito è sul legno ricurvo,
semplice ancora, inesperto d’imprese e d’accorti discorsi.
805Ed io perciò di lui m’affanno anche piú che d’Ulisse,
e tremo tutta, e temo che qualche sciagura lo colga,
o nelle terre di quelli dov’ei s’è recato, o per mare,
poi che ai suoi danni vanno tramando malevoli molti,
che voglion la sua morte, pria ch’egli ritorni alla patria».
     810E le rispose il vano fantasma con queste parole:
«Fa’ cuore, e il seno tuo soverchio timor non accolga:
tale al suo fianco, a guidarlo, cammina un compagno, che ognuno,
prece farebbe d’averlo vicino: tanto egli è possente:
Pallade Atena, la Diva che prova pietà del tuo pianto.
815Ella m’ha qui mandato, perché tutto ciò ti dicessi».
     E le rispose con queste parole Penelope accorta:
«Dunque, se un Nume tu sei, se udita d’un Nume hai la voce,
su via, parlami pure d’Ulisse, di quel poverino,
se vive ancor, se vede tuttora la luce del sole,
820o se defunto è già fra le tènebre cupe d’Averno».
     E le rispose il vano fantasma con queste parole: