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CANTO IV 63

Di lui parlare udendo, gli caddero lagrime al suolo,
110e agli occhi sollevò dinanzi il purpureo manto,
con ambedue le mani. Si accorse di ciò Menelao;
e, riflettendo, incerto rimase, se il giovin lasciasse
che menzione da sé facesse del padre; o se prima
interrogarlo dovesse, per aver contezza di tutto.
     115Mentre volgeva nel cuore, nell’animo, questi pensieri
Elena apparve, discesa dall’alte sue stanze odorose,
che Artèmide sembrava dall’aurea rocca. Ed Adreste
seco venía, che presso le pose il suo morbido seggio,
venía recando Alcippe tappeti di morbida lana,
120e Filo, che portava d’argento un paniere, che in dono
le diede Alcandra, sposa di Pòlibo, re dell’egizia
Tebe, ove piene ricolme di beni son tutte le case.
A Menelao donati due tripodi Pòlibo aveva,
dieci talenti d’oro, due vasche d’argento; e la sposa
125doni bellissimi offerse ad Elena: un’aurea conocchia,
ed il cestello v’aggiunse d’argento, su mobili ruote.
Filo recava questo, l’ancella; e a lei presso lo pose,
colmo di ben ritorto filato; e una rocca sovr’essa
era poggiata, colma di lana color di viola.
130Nel seggio s’adagiò, sotto i pie’ lo sgabello tenendo,
e s’informò di tutto, volgendosi quindi allo sposo:
«Già, Menelao divino, sappiamo che uomini sono
questi, cui la fortuna sospinse alla nostra dimora?
M’inganno, o dico il vero? Ma il cuore mi spinge a parlare
135Uomo non vidi mai cosí somigliante ad altro uomo,
né donna ad altra donna, sí ch’io nel mirare stupisco,
come a Telemaco questi mi par che somigli, al figliuolo