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PREFAZIONE | XI |
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E oggi che non ci fanno piú velo i pregiudizi dell antica retorica, restituiamo all’Odissea il suo vero nome, il suo vero posto: è un romanzo, un romanzo d’avventure.
Ma come va che fra quanti romanzi d’avventure siano stati mai concepiti da mente umana, da Gil Games e dai novelloni egiziani sino a Stevenson o a Benoit, l’Odissea occupa un posto a sé, e tanto si distingue e si eleva su tutti gli altri, da parer quasi d’un’altra famiglia?
Le ragioni sono parecchie, ma si riassumono facilmente in una: l’eccellenza artistica. Tutti intendono, infatti, che se qualcuno dei sullodati romanzi d’avventura fosse scritto con lo stile, poniamo, di Salammbô, un confronto riuscirebbe possibile e tollerabile. Ma non ce n’è alcuno. Sembra quasi che la materia avventurosa, per il fascino intrinseco che permane suo retaggio anche in forme d’elaborazione umilissime, dissuada gli autori dalla cura stilistica, e quasi da ogni altra cura. L’Odissea, invece, è, come stile, un capolavoro assoluto. Perfetto sempre, anche nelle parti dove piú langue l’estro, nelle parti ispirate assurge a finezze di compagini e di nessi che l’arte non raggiunse piú mai, o raggiunse perdendo, come negli alessandrini, l’aerea vaghezza dell’estro musicale.
E quasi piú che dallo stile, la eccellenza dell’Odissea risulta dalla profonda psicologia dei suoi personaggi. Anche qui, i soliti romanzi d’avventure ci presentano fantocci. Invece, tutte le figure dell’Odissea sono di umanità individuale, sincera, profonda; e il protagonista Ulisse è un tale carattere, che si rimane perplessi se l’arte ne abbia piú mai creato un altro degno di stargli a fianco. Basti ricordare l’influsso enorme che