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dal quarto lato sur una specie di bacino formato dal canale più largo della città, che comunica direttamente colla Mosa. Su questa piazza s’innalza, circondata da baracche e da carretti, in mezzo a mucchi di legumi, d’aranci, di tegami, fra una folla di rivendugliole e di merciaiuoli, dentro una cancellata coperta di stuoie e di cenci, la statua di Desiderius Erasmus, la prima gloria letteraria di Rotterdam; quel Gerrit Gerritz, — poiché il nome latino, a somiglianza di tutti gli altri grandi scrittori del suo tempo, se l’era posto egli medesimo; — quel Gerrit Gerritz appartenente, per la sua educazione, il suo stile e le sue idee, alla famiglia degli umanisti e degli eruditi d’Italia, scrittore fine, profondo e infaticabile di lettere e di scienze, che riempì del suo nome l’Europa fra il decimoquinto e il decimosesto secolo, che fu colmato di favori dai papi, cercato, festeggiato dai principi; e delle cui innumerevoli opere, scritte tutte in latino, si legge ancora l’Elogio della pazzia, dedicato a Tommaso Moro. Quella statua di bronzo, innalzata nel 1622, rappresenta Erasmo vestito d’una pelliccia, con un berretto di pelo, un po’ inclinato innanzi come uno che cammina, con un grosso libro aperto in mano, nell’atto di leggere; e il piedestallo porta una doppia iscrizione olandese e latina che lo chiama vir sæculi sui primarius e civis omnium præstantissimus. E malgrado questo pomposo elogio, il povero Erasmo, piantato là come una guardia municipale in mezzo al mercato, fa compassione. Non