rotterdam. 57

apparenza di miseria. Anche là le finestre hanno i loro specchietti — le spie, come si dicono in olandese, — i loro vasi di fiori sul davanzale, difesi da cancellatine verdi; le loro tendine bianche; gli usci tinti di verde o di azzurro; tutto spalancato, in modo che si vedon le camere da letto, le cucine, tutti i recessi della casa, stanzette che paiono scatole, dove la roba è ammontata come in botteghe da rigattieri; ma rami, stoviglie, mobili, tutto pulito e luccicante come in case di signori. Passando per quelle strade non si trova ombra di sudiciume da nessuna parte, non si sente un cattivo odore, non si vede nè un cencio nè una mano tesa per chiedere: si respira la pulizia e il benessere, e si pensa con vergogna ai luridi quartieri dove formicola il basso popolo in molte delle nostre città, ed anco non nostre, non esclusa Parigi, che ha pure la sua strada Mouffetard.

Tornando verso l’albergo, passai per la piazza del gran mercato, posta nel bel mezzo della città, e non meno strana di tutto quello che la circonda.

È una piazza sospesa sull’acqua; nello stesso punto piazza e ponte; un ponte larghissimo che congiunge la diga principale, — l’Hoog-Straat, — con un quartiere della città, circondato da canali. Questa piazza aerea è cinta di vecchi edifizi su tre dei suoi lati, sull’uno dei quali s’apre una strada lunga, stretta ed oscura, occupata tutt’intera da un canale che pare una strada di Venezia; ed è aperta