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gilla, e che questo strato d’argilla sarebbe scivolato sulla massa di torba che forma la base del suolo. E io la scrivo qui come l’ho udita e come l’ho letta.

Prima che il bastimento uscisse dal canale de Noord, la mia speranza di vedere il primo tramonto di sole in Olanda, fu delusa da un altro improvviso cangiamento di tempo. Il cielo si oscurò, le acque si fecero livide e l’orizzonte scomparve dietro un velo denso di vapori.

Il bastimento sboccò nella Mosa e voltò, per la decima volta, a sinistra.

In quel punto la Mosa, che travolge con sé prigioniere le acque del principal braccio del Reno, il Vaal, e riceve quelle del Leck e dell’Yssel, è larghissima e le sue sponde son fiancheggiate da lunghe file di alberi e sparse di case, di officine, di opifici, di arsenali, che spesseggiano via via che ci s’avvicina a Rotterdam. Per poco che si conosca la storia fisica d’Olanda, la prima volta che si vede la Mosa, e che si pensa agli straripamenti memorabili, alle devastazioni, alle trasformazioni, alle mille calamità e alle vittime infinite di quel fiume capriccioso e terribile, si guarda con una sorta di curiosità inquieta, come si guarda un brigante famoso, e si giran gli occhi sulle dighe con un sentimento quasi di soddisfazione e di gratitudine, come, al veder passare un brigante ammanettato, si giran gli occhi sui carabinieri. Mentre io cominciavo a cercar cogli occhi Rotterdam, un passeggiere olandese raccontava