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478 DA GRONINGA AD ARNHEM.

tata da un popolo che ha fama di essere il più poetico dell’Olanda, giusta il proverbio che lo definisce: «grande di coraggio, povero di beni, la spada alla mano, ecco il mio blasone.» Ma per questa loro stessa singolarità, non presentano nè il paese nè il popolo nulla di strano a uno straniero del mezzogiorno d’Europa, che sia andato in Olanda per vedere l’Olanda; e però tutti i viaggiatori vi passan di volo colla persona e colla penna. E lo stesso può dirsi del Limburgo e del Brabante settentrionale, le due sole provincie dell’Olanda, nelle quali non mi parve necessario di penetrare. Perciò, visto che ebbi la città di Arnhem, partii per Colonia. Il cielo era scuro e basso più che non fosse stato mai in tutta quella giornata, ed io, benchè in fondo al cuore godessi di ritornare in Italia, sentivo il peso di quel tempo triste, e appoggiato allo sportello del vagone, guardavo immobilmente la campagna, più coll’aria di chi parte dal suo, che di chi abbandona un paese straniero. Arrivai senz’accorgermene fin quasi alla frontiera tedesca, assorto nel pensiero delle fatiche, dei dubbi, degli sconforti coi quali avrei dovuto lottare per molti mesi in un cantuccio della mia cameretta per scrivere queste povere pagine; e solo quando un viaggiatore mi disse ch’eravamo vicini alla frontiera, mi riscossi, e mi avvidi ch’ero ancora in Olanda. Girai gli occhi sulla campagna e vidi ancora un mulino a vento. Già il terreno, la vegetazione, la forma delle case, la lingua dei miei compagni di viaggio, non eran più olandesi. Mi rivolsi perciò a quel mulino come all'ul-