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FRISIA. 443

col canto, agitando il berretto e saltellando ora sur una gamba ora sull’altra cogli atteggiamenti grotteschi degli ubbriachi dello Steen e del Brouwer. La folla li guardava, e m’immagino che lo spettacolo le paresse straordinariamente bello e dilettevole, perchè rideva dai precordi, si alzava in punta di piedi, accennava, esclamava, applaudiva. Io mi fermai a osservare qualche bel viso di Frisona, che quando si vedeva guardata, mi vibrava uno sguardo pieno di orgoglio guerresco, e poi me n’andai a far conversazione con un libraio, cosa gradevolissima in Olanda, dove i librai sono generalmente molto colti e molto cortesi.


La notte, all’albergo, non potei quasi chiuder occhio per cagione d’uno scellerato pianista di campanile, il quale, forse perchè soffriva d’insonnia, si prese il barbaro piacere di dare alla città addormentata un saggio di tutte le opere del Rossini e di tutte le canzoni popolari dei Paesi Bassi. Non ho ancora parlato del meccanismo di questi organetti aerei, ed ecco com’è congegnato. L’orologio del campanile mette in movimento un piolo, il quale alla sua volta fa girare una ruota e un cilindro munito di cavicchi, simile a quello d’un organo di Barberia. A questi cavicchi, disposti nell’ordine voluto dalla melodia, sono attaccati dei fili di ferro i quali sollevano i battagli delle campane e i martelli che le percuotono. Quando suonan le ore, risponde un’arietta determinata; ma togliendo il cilindro,