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430 FRISIA.

A questo fine avevo una lettera per una famiglia di Leuwarde, la portai, fui ricevuto cortesemente in una bella casetta posta sull’orlo d’un canale, e scambiati appena i primi saluti, dimandai di vedere un casco, il che fece ridere di cuore i miei ospiti, perchè quella è immancabilmente la prima domanda che rivolgono tutti gli stranieri arrivati in Frisia ai primi Frisoni che hanno la fortuna di conoscere. Per tutta risposta, la padrona di casa, una signora colta e gentilissima, che parlava con molto garbo il francese, tirò il cordoncino d’un campanello, e comparve subito una ragazza col casco d’oro e la veste lilla, a cui essa accennò di venire innanzi. Era la serva: una ragazza alta come un granatiere, robusta come un atleta, bianca come un angelo, fiera come una principessa. Capì di volo che cosa volevo e mi si piantò davanti colla testa alta e cogli occhi bassi. La signora mi disse che si chiamava Sofia, che aveva diciott’anni, ch’era promessa sposa e che il casco gliel’aveva regalato il suo fidanzato.

Domandai di che metallo fosse il casco.

“D’oro!” rispose la signora quasi meravigliandosi della mia domanda.

“D’oro!” esclamai alla mia volta. “Scusi; abbia la compiacenza di domandarle quanto costa.”

La signora interrogò in lingua frisona Sofia, e poi rivolgendosi a me: “Costa,” mi disse, “senza le spille e senza la catenella, trecento fiorini.”

“Seicento lire!” esclamai. “Scusi ancora: vorrei sapere qual’è la professione del suo fidanzato.”