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428 FRISIA.

viso. In mezzo a tutte quelle teste amabilmente terribili, su cui non si vedeva una ciocca di capelli, io collo staio e la capigliatura lunga, mi parevo un uomo imbelle e spregevole, a cui da un momento all’altro una di quelle austere frisone dovesse porgere per scherno il fuso e la rocca. — Ma che spedizione hanno in mente tutte codeste donne? — pensavo, celiando con me stesso. — A chi vogliono far la guerra? A chi intendono di metter paura? — A ogni passo vedevo qualche scena curiosa. Un ragazzo, per far stizzire una bambina, le appannava il casco col fiato, e quella subito s’affannava a ripulirlo colla manica, prorompendo in invettive, come un soldato a cui il compagno insudici qualche parte dell’armatura un momento prima della rivista del capitano. Un giovanotto, da una finestra, toccava colla punta d’un bastoncino il casco d’una ragazza affacciata alla finestra accanto, il casco risonava, i vicini si voltavano, la ragazza faceva il viso rosso e spariva. In fondo a un corridoio, una serva si aggiustava il casco guardandosi in quello d’una compagna gentilmente inchinata per farle da specchio. Nell’atrio d’una casa, che doveva essere un collegio, una cinquantina di ragazze, tutte col casco, si disponevano a due a due, in silenzio, come un drappello di guerriere che s’apparecchiassero a fare una sortita contro il popolo ribellato. E in ogni nuova strada che infilava la banda, pullulava da ogni parte, come a un richiamo di guerra, una nuova legione di quell’esercito stravagante e gentile.