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422 | FRISIA. |
cinquanta fiorini! Dove questo concerto si facesse, in un città come Harlingen, tutta casette liliputtiane, non lo potevo capire, se non supponendo che i suonatori stessero in casa, e gli uditori nella strada; e domandai una spiegazione al mio compagno. “Una casa abbastanza grande c’è,” mi rispose: — Una! — pensai. O dove sarà questo colosso di casa, che non l’ho veduto? Attraversammo due o tre strade semioscure, ma un po’ più popolate che due ore innanzi, e arrivammo alla stazione. “Non ci vedremo mai più” mi disse quel franco e simpatico frisone stringendomi la mano. “Probabilmente mai più,” risposi. Stemmo un po’ guardandoci l’un l’altro, e poi ci dicemmo tutti e due insieme: — Addio! — e con questo triste saluto ci separammo. Egli andò al concerto, ed io partii per l’interno della Frisia.
La Frisia è tutta una pianura, d’un terreno misto di sabbia, d’argilla e di torba, bassa in ogni parte, e sopratutto a occidente, dove non di rado, verso la fine d’autunno, le acque del mare si spandono su grandi spazi. Vi sono moltissimi laghi, i quali formano come una catena a traverso tutta la provincia dalla città di Stavoren fino alla città di Dokkum. La campagna è coperta di vastissime praterie, e solcata in tutti i versi da larghi canali, lungo i quali pascolano, per nove mesi dell’anno, armenti innumerevoli non guardati nè da pastori nè da cani. Lungo il Mare del Nord, vi si trovano dei piccoli rialti di terreno, chiamati terpen, innalzati dagli